Eco-ego-centrismo

ambiente ecologia francesco scura inquinamento Mar 25, 2023
 

Se non fosse il cambiamento climatico sarebbe probabilmente la fame nel mondo, e se non fosse neanche la fame nel mondo allora sarebbe almeno la fine di tutte le guerre.

 

Ogni tema collettivo si scontra inesorabilmente con le aspettative personali e con le capacità individuali di interpretazione e di risposta, ovvero nel dualismo tra bene pubblico globale e sacrificio individuale, pur prendendo atto che l’istanza collettiva rilevante si sviluppa su interessi storicamente contrapposti e mai convergenti con la viva percezione del benessere e dell’ambizione personali.

Green deal

Nella lotta al cambiamento climatico, e più in generale nella strategia europea del green deal approvata alla fine del 2019, è ben in evidenza uno dei punti cruciali della transizione ecologica, e cioè che alcuni settori economico-industriali saranno più danneggiati di altri e avranno quindi bisogno di diverse forme di compensazione.

E la compensazione è ragionevolmente l’altra faccia della medaglia dell’incentivo personale, dell’azione individuale spinta da motivazione altruistiche, in aperto e palese conflitto con l’impossibilità concreta di sposare una causa collettiva se non per mero e sterile principio.

In altri termini, al di fuori dell’ambivalenza del comportamento virtuosamente green come privilegio di classe e come retaggio da eradicare.

Oltre il ricatto occupazionale

L’attuale sistema in gioco sembra di fatto una versione aggiornata del ricatto occupazionale come lo abbiamo sempre conosciuto dalla rivoluzione industriale in poi: l’obbligatorietà (flebile e flessibile) delle politiche climatiche produrrà sempre più, ben prima degli effetti sul clima, una feroce contrapposizione tra i molti lavoratori dei settori ad alta intensità di emissioni (temendo la perdita di posizioni guadagnate faticosamente nell’arco dei decenni) e i tanti altri lavoratori che sulla richiesta di competenze verdi hanno costruito un’alta formazione specializzata, ma sono in costante attesa di un reale punto di svolta sul piano strategico internazionale.

Numerose e crescenti ricerche, infatti, stanno già dimostrando come il cambiamento climatico aumenti le disuguaglianze di reddito tra regioni e paesi, spingendosi fino al potenziale impatto sulle diverse classi di reddito all’interno di uno stesso contesto territoriale.

In Italia, poi, il meccanismo della compensazione sembra immediatamente permeato di quel senso di inutilità collettiva, penosamente limitato al solo beneficio dei percettori, i soliti, ben allineati in prima fila, sodali delle nostre politiche industriali del fondo perduto a tutti i costi (o meglio, ai costi di tutti): invece la compensazione potrebbe esplicitarsi in un senso più ampio e più completo, come compensazione strutturale, tanto economica quanto culturale, tanto di formazione individuale quanto di emancipazione sociale.

Tornano alla memoria, forse non casualmente, le scene più incisive di un film predittivo come "Lo chiameremo Andrea" (Vittorio De Sica, Cesare Zavattini, Piero De Bernardi, Leonardo Benvenuti, Marina Cicogna, Ennio Guarnieri, Mariangela Melato, Nino Manfredi), in cui la lotta individuale, la battaglia per un’inderogabile necessità personale, assume i contorni e la sostanza della lotta di classe, per una ragione collettiva (globale, diremmo oggi) contro l’interesse personale.

Un film esemplare e meravigliosamente ambientalista, un film che nel 1972 ha saputo anticipare la costituzione identitaria della coscienza socio-ambientale delle generazioni successive.

Parafrasando Thomas Merton, nessuna strategia può compiersi nell’isolamento e in assenza di avallo e collaborazione sinergica tra tutte le parti in commedia: in altre parole, lo Stato (soprattutto nel suo far parte di organismi con altri Stati) deve non solo indicare la strada (possibilmente dopo averla almeno pulita), ma deve rendere possibile a tutti seguire quella strada, senza che la fase di transizione ecologica equivalga a una tangibile e quindi inaccettabile perdita di sicurezza o di status quo.

La strage dei buoni propositi

Diversamente, la lotta al cambiamento climatico continuerà a fare la fine di tutti i buoni propositi ripresi e abbandonati con frequenza schizoide: sconfiggere la fame nel mondo, eliminare tutte le guerre, godere solo di pornografia etica, iscriversi in palestra.

Poi, certo, l’assenza dello Stato viaggia sempre in concorso con la nostra individuale latitanza, con la nostra personale inazione: c’era un famoso slogan, utilizzato fin dall’alba delle lotte per l’ambiente, che recitava: "You're not stuck in traffic, you're traffic".

"Non sei nel traffico, tu sei il traffico".

 

Francesco Scura '23

 

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