Mala Høy Kúko e le città

ambiente città clima francesco scura mala høy kúko Apr 22, 2023
 

Mala Høy Kúko dopo tutto non pensa che il cambiamento climatico rappresenti un reale problema, bensì un’opportunità.

 

E lo dice per cinquantaseimila persone che vivono su un territorio di due milioni di chilometri quadrati, un territorio grande sette volte l’Italia.

Mala Høy Kúko ha recentemente dichiarato “Il potenziale dell’idroelettrico aumenterà ancora di più grazie al riscaldamento del clima” e, da ministro dell’ambiente della Groenlandia, spera che lo scioglimento dei ghiacci aiuti il governo a raggiungere l’obiettivo di aumentare la quota di elettricità generata tramite idroelettrico al 90% entro il 2030, dal 65% attuale.
In seguito al ritiro dei ghiacciai, infatti, i fiumi e i laghi dell’isola vengono alimentati maggiormente, fornendo risorse idriche alle cinque centrali idroelettriche attualmente operative e a quelle già in fase di costruzione.

Peccato che, a esclusione di queste cinquantaseimila persone e di Donald Trump, per tutti gli altri abitanti della Terra il riscaldamento climatico rappresenti solo l’opportunità di sperimentare le sole devastanti conseguenze del cambiamento: siccità intense e tempeste catastrofiche, innalzamento dei mari e inondazioni, scarsità d’acqua e incendi devastanti.

E, su tutto, la tragedia che si ripete (geograficamente e storicamente comune) delle persone con meno risorse economiche e sociali che costituiscono sistematicamente la parte più, e più intensamente, colpita.

I luoghi in cui viviamo

In una sorta di processo inarrestabile, ogni anno settanta milioni di persone si spostano verso le città: entro il 2050 due terzi della popolazione mondiale vivranno in città, spesso al di fuori delle normali regole del buon senso e, sicuramente, al di là dei confini del buon senso urbanistico e sociale.

Ma poi, in quali città?
In quali città se quelle che conosciamo oggi probabilmente saranno poco più di una fotocopia sbiadita e sopravvissuta?

Iniziamo dall’Italia

La bellezza di Agrigento è realmente un patrimonio universale, ma i suoi cinquantacinquemila abitanti hanno dovuto subire nel solo 2020 ben trentuno “eventi” legati a gravi allagamenti, problemi alle infrastrutture della città, danni da trombe d’aria ed estrema siccità.

Situazione simile in Puglia, dove se a Taranto il pericolo arriva dall’innalzamento delle acque, a Bari i picchi costanti di temperature superiori a 40° rappresentano una tendenza al riscaldamento che sta mantenendo la città ai primi posti tra le città italiane.

A Roma, nell’arco dell’ultimo decennio, si sono verificati quasi cinquanta eventi estremi, e più della metà sono stati allagamenti.
Inoltre, in una storia che sembra ripetersi, Kyle Harper ha riportato al cambiamento climatico anche la stessa fine dell’Impero Romano, crollato sotto il peso di “batteri, virus, vulcani e cicli solari”.

La città di Genova, per decenni uno dei vertici del triangolo industriale italiano, vive la precarietà della propria stessa forza legata al mare: l’innalzamento delle temperature nel Mediterraneo ha portato a temporali e alluvioni sempre più devastanti e sempre con maggiore frequenza, come nel 2010 e nel 2014 (che, secondo le stime ufficiali, è costata almeno un miliardo di euro di danni).

Milano aggiunge l’inquinamento cronico alle conseguenze del surriscaldamento: gli inverni freddi non sono più così freddi, e anche la nebbia non c’è più come una volta.
Ma le conseguenze più gravi sono i forti temporali che contribuiscono alle esondazioni dei fiumi Seveso e Lambro e, nei mesi estivi, le violente ed estenuanti ondate di calore.

Altro caso esemplare è Venezia, dove l’innalzamento dei mari dovuto allo scioglimento dei ghiacciai si associa allo sprofondamento della laguna: in meno di dieci anni ci sono stati novantacinque episodi di acqua alta sopra i 110 centimetri.

Uscendo dall’Italia

È vero, lo scenario di Londra è (ancora) potenziale, ma le sempre crescenti frequenza e portata degli allagamenti dovuti al Tamigi mettono seriamente a rischio la stabilità di una città di quasi nove milioni di abitanti in cui i possibili black-out paralizzerebbero non solo gli assi portanti dei settori terziario e finanziario, ma gli stessi equilibri sociali.

Ad Amsterdam, nonostante una lungimiranza ammirevole da parte delle amministrazioni pubbliche nell’anteporre il benessere dei cittadini rispetto alle ragioni dell’economia, si parte dal problema di una città (e di un intero Paese, l'Olanda) già al di sotto del livello del mare.
Nonostante le costanti difficoltà, entro il 2050 la città vuole diventare una “città circolare” senza sprechi, puntando sul recupero e sul riutilizzo.

Tra le città più a rischio per il cambiamento climatico, Parigi si distingue per le sue sfide ambientali: allagamenti, calore estremo e approvvigionamento di cibo sono alcuni dei problemi da affrontare e gestire.

Anche Barcellona si confronta con le sfide ambientali del cambiamento climatico.
Tra queste, ci sono l’aumento delle temperature, la mancanza di acqua, le frequenti alluvioni e l’erosione delle spiagge.
Tra le contromisure, la città ha costruito delle grandi cisterne sotterranee per raccogliere l’acqua in eccesso e inoltre, grazie alle nuove tecnologie, sta progettando altre soluzioni, come i “tetti verdi” che potrebbero mitigare il calore e migliorare l’aria.

Oslo è una città all'avanguardia nella sostenibilità ambientale: usa energia pulita per illuminare le strade, che si oscurano quando non c’è nessuno in giro, e promuove la mobilità elettrica, con più del 60% delle nuove auto senza emissioni.
Tuttavia, anche qui il cambiamento climatico si fa sentire: le temperature aumentano, le precipitazioni si intensificano, le frane e le inondazioni minacciano con sempre maggiore frequenza la sicurezza della città.

Fuori dall’Europa

Saint Louis, in Senegal, corre gli stessi rischi di molte altre città costiere dell’Africa occidentale: entro cinquanta anni, più di due terzi delle città potrebbe essere sommerse dall’innalzamento delle acque.
Complessivamente, più di cento milioni di persone potrebbero muoversi alla ricerca di territori meno a rischio e con migliori prospettive di vita stabile e sicura.

A Kinshasa, oltre alla crescente virulenza degli eventi estremi, saranno più frequenti i periodi di secca nel corso della stagione delle piogge: il Congo è il penultimo Paese al mondo per emissioni di anidride carbonica, ma il dodicesimo più esposto al cambiamento climatico (e il quinto tra quelli meno in grado di predisporre contromisure idonee).

Dubai deve affrontare due sfide principali legate al riscaldamento globale: la carenza di acqua e l’erosione delle coste.
La maggior parte della popolazione e delle infrastrutture, infatti, si trova vicino al mare, che potrebbe salire di diversi metri entro la fine del secolo: gli studi indicano che gli Emirati Arabi potrebbero perdere più del 6% delle aree costiere abitate, che si estendono per 1.300 chilometri.

Il Bangladesh rappresenta uno dei casi più emblematici di vulnerabilità al cambiamento climatico: la sua capitale Dacca, pochi metri sul livello del mare, potrebbe essere sommersa dall’innalzamento delle acque.
Ma la città è già soggetta a fenomeni calamitosi come inondazioni, cicloni e tornado, che hanno gravi ripercussioni su una popolazione ad altissima densità e fortemente indigente.
Le infrastrutture sono principalmente inadeguate e molti abitanti optano per la migrazione come strategia di adattamento: si stima che il cambiamento climatico determinerà lo spostamento di un settimo della popolazione entro la metà del secolo.

Il cambiamento climatico a Mumbai, in India, rappresenta un pericolo crescente per venti milioni di abitanti: la città rischia di essere sommersa dalle inondazioni e lo scenario, secondo diverse proiezioni indipendenti, è sempre più allarmante.

Malé e l’arcipelago delle Maldive rischiano letteralmente di scomparire, completamente sommersi, in meno di un secolo.
I tentativi di trasferire la popolazione dalle isole più a rischio, creando contestualmente barriere e terrapieni artificiali, si scontrano con il costo elevatissimo delle operazioni.
Anche i rifiuti contribuiscono all’emergenza: le isole meno frequentate, infatti, stanno diventando vere e proprie discariche a cielo aperto al fine di mantenere quanto più possibile intatto il business del turismo di massa.

Anche per Tuvalu, e la sua Capitale Funafuti, il destino sembra segnato: se l’oceano è avanzato negli ultimi anni già di tre metri, la fine sarà di un’isola che sprofonda.

A Buenos Aires, Capitale dell’Argentina, il cambiamento climatico ha determinato negli ultimi cinquanta anni un clima più caldo e piovoso, con ondate estreme di calore e precipitazioni sempre più violente.

Rio de Janeiro è probabilmente la città sudamericana più a rischio: alla fine del secolo gran parte della città potrebbe essere sommersa dalle acque.
Le ondate di calore e gli allagamenti, costantemente in aumento, causeranno un aumento delle malattie e lo sviluppo urbano disordinato non aiuta a gestire le emergenze.

Negli anni ’80 vivere a Città del Messico equivaleva a fumare due pacchetti di sigarette al giorno e, pur a duemila metri di altitudine, per anni è stata considerata la città più inquinata del mondo e con un’aria irrespirabile.

Oggi, per ventotto milioni di persone (tra la città e la cintura metropolitana) la realtà corrisponde a forte diminuzione della qualità e della quantità delle risorse idriche, consistente aumento delle inondazioni, frequenti ondate di calore sempre più intense, drastico peggioramento della qualità dell’aria e drammatica contrazione del rendimento dell’agricoltura.

San Francisco è colpita da anni dalla siccità, ma non è l’unico problema: gli incendi sono sempre più frequenti nella zona, come in tutta la California, senza dimenticare il costante pericolo dei terremoti in tutta la regione.

New York sta cercando di difendersi dall’innalzamento delle acque con la costruzione di specifiche barriere di protezione, ma il riscaldamento climatico sta comportando un forte aumento di pioggia e neve, oltre alle crescenti ondate di calore in estate.

A Vancouver, in Canada, l’innalzamento del livello dei mari sommergerà interi quartieri della città in pochi decenni, mentre la violenza delle piogge, tempeste, vento forte, acqua marina che si infiltra negli acquedotti, temperature più calde sono già minacce attuali per la popolazione.

La fiducia è ciò che si ha prima di capire il problema

La reale dimensione del problema non è solo climatica, proprio come non è (solo) una questione scientifica: il problema è strutturalmente sociale, e soprattutto in termini di equità sociale andrebbe spiegato, affrontato e attenuato nei suoi effetti più disastrosi.

Ambizione ingenua e irrealistica, dato che le prime fasce di popolazione a essere danneggiate non corrispondono mai all'1% che detiene e manovra la metà della ricchezza globale.

Ma ora, dopo decenni di criminale sottovalutazione, ora che il problema sembra finalmente essere chiaro in tutta la sua devastante portata, la fiducia è sempre più sprofondata e sommersa come la più sperduta delle isole.

Più prima che poi

Le immagini presenti in quest’articolo sono state generate dall’intelligenza artificiale di Dall-e, confidando che, più prima che poi, artificiale o meno, qualcosa possa finalmente spingerci a invertire la rotta.

 

Francesco Scura '23

 

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